Trump si scatena contro Google e fa riflettere tutti
Trump contro Google e fa riflettere tutti
Il Presidente degli Stati Uniti d’America Donald Trump ha espresso su Twitter nei giorni scorsi il suo disappunto contro Google.
Il motore di ricerca, secondo lui, sarebbe di parte nel mostrare per la ricerca “Trump news” dei risultati eccessivamente sbilanciati a favore dei suoi avversari politici.
Stando ad uno studio condotto dal suo team, addirittura il 96% dei link più visibili condurrebbe ad articoli di aspra critica nei suoi confronti.
La guerra di Trump ai mass media diventa dunque anche digitale, anche se pure in questa circostanza il Presidente americano non manca di specificare un suo particolare disprezzo per la CNN nello specifico.
Che sia o meno corretto quel che dice Trump, sicuramente la questione fa riflettere tutti.
L’accusa di Trump e l’algoritmo di Google
Google è un’azienda privata, con scopi aziendali canonici: realizzare profitti e prosperare nel tempo.
Da quando è nato, il motore di ricerca di Mountain View è sempre stato apprezzato dagli utenti per la sua capacità di riconoscere i risultati più rilevanti per qualsiasi ricerca e proporli al lettore.
Così facendo si è guadagnato la fiducia di ben 1,17 miliardi di utenti nel mondo (fonte: statista.com).
Ora che Google ha così tanta credibilità, ha anche un potere economico e politico pressoché illimitato.
Gli algoritmi, quando arrivano ad essere così tanto importanti per gli equilibri di una nazione, non sono più trascurabili.
Non possiamo sapere se la ricerca “Trump news” mostri risultati truccati o meno, ma sappiamo di affidare quotidianamente la qualità di quel che cerchiamo in rete alla valutazione di un algoritmo costruito da umani e modificabile a piacimento.
L’algoritmo utilizzato da Google per elencare in ordine i risultati delle ricerche viene costantemente aggiornato.
Decine di piccoli aggiornamenti, insieme a 4-5 più consistenti (detti “Core Update”), vengono rilasciati ogni anno per garantire una selezione sempre migliore dei risultati da mostrare.
L’algoritmo si basa sull’affidabilità di un sito, la sua capacità di produrre valore per gli utenti, il numero e la qualità dei siti web esterni che linkano ad esso e migliaia di altri parametri;
questo in linea di massima, ma basta un pomeriggio di lavoro in casa Google per modificare i risultati di una ricerca.
Google trucca i risultati?
Donald Trump non è di certo l’unico ad aver espresso scetticismo nei confronti di Google.
Nel 2018 l’Unione Europea ha già multato per la bellezza di 5 miliardi di euro il colosso americano per abuso di posizione dominante con il suo software Android, ma i risultati delle ricerche non erano stati oggetto di indagine.
Se questi fossero truccati, miliardi di euro starebbero andando a finire nelle tasche di qualcuno che non li merita.
La visibilità sui motori di ricerca è in grado di portare traffico, clienti e fatturato alle aziende. Tutti noi, almeno una volta, abbiamo cercato su Google qualche azienda della nostra città o qualche prodotto che intendevamo acquistare.
I risultati più visibili sono ovviamente quelli più cliccati, tanto è vero che ci sono migliaia di professionisti nel mondo che lavorano proprio a questo: si occupano di portare le aziende clienti più in alto nei risultati di ricerca.
L’economia dietro ai risultati delle ricerche su Google ha un valore inestimabile e la SEO (Search Engine Optimization) è considerata la forma di marketing più redditizia in assoluto secondo studi su vasta scala.
Google ha il potere di scegliere chi deve rispondere alle nostre domande.
Per molto tempo lo ha fatto con successo, ma ultimamente sono state tante le voci contrarie tra cui quella di Trump è soltanto la punta dell’iceberg.
Solo pochi mesi fa la frase “don’t be evil” (non essere malvagio) è sparita dalle linee guida del motore di ricerca, che fino a poco tempo fa ne aveva fatto un cavallo di battaglia.
Perché fermarsi a riflettere
Google stabilisce come rispondere alle nostre domande, Facebook sceglie cosa farci vedere quando vogliamo rilassarci e Amazon sceglie cosa dobbiamo comprare.
Quando una di queste aziende sceglie di modificare l’algoritmo con cui assegna visibilità ai contenuti presenti su di essa, non possiamo nemmeno calcolare quanto denaro venga spostato di conseguenza.
Più utilizziamo gli strumenti digitali e più impariamo a fidarci degli algoritmi.
Siamo certi che non ci fossero risposte migliori alle nostre domande di quelle che ci ha mostrato Google?
Siamo sicuri che un prodotto in terza pagina su Amazon non fosse quello che faceva davvero al caso nostro, ma nemmeno lo abbiamo notato?
Forse sarebbe davvero il caso che fossero creati organi di vigilanza per assicurare la trasparenza degli algoritmi.
Non si possono certo togliere a queste aziende i loro meriti, ma non si dovrebbe neanche lasciare ad esse il potere di influenzare gli utenti su una persona, un’azienda, un prodotto o qualsiasi altra cosa in modo da favorire i propri scopi.
Dalla Casa Bianca sono già arrivate direttive alle autorità americane: si sta discutendo su un’eventuale approfondimento della questione con un’indagine istituzionale.
Se così fosse, potrebbe essere l’inizio di una nuova era della vigilanza e della limitazione del potere al momento smisurato delle grandi aziende digitali.
Il presidente americano non mi piace molto, ma in questo caso non penso che l’abbia buttata di fuori questi strumenti digitali sono di molto discutibili per quello che fanno passare e per manovrare il mercato di ogni genere.